Alla GAM per un affascinante itinerario della scultura moderna
Il passaggio cruciale dopo la Seconda Guerra mondiale conduce anche il mondo della scultura a rivoluzionarsi; in parallelo alle altre arti, le spinte dal figurativo all’informale si fanno sempre più necessarie e il pensiero volto alla celebrazione di un soggetto pubblico, così come privato, si trasforma per diventare più libero di esprimersi. Le statue selezionate e visibili nella mostra “Viaggio al termine della statuaria: scultura italiana 1940-1980”, a cura di Riccardo Passoni, visitabile alla GAM di Torino fino al 10 settembre, sono state scelte attraverso il tempo. Il fulcro del valore ruota intorno alle novità del linguaggio. La scultura “Ritratto di Eva” di Edoardo Rubino, datata 1942, è ancora ancorata a codici formali. L’approdo a nuovi soggetti è ormai imminente ed è anticipato nell’opera “La pazza” di Sandro Cherchi (1939). Si tratta di un soggetto inconsueto fino a quel tempo e affrontato con nuovi linguaggi. Gli influssi del dopoguerra con le sue ferite e il suo dramma materiale si riscontra in opere come “La rissa” di Agenone Fabbri (1951), ma ancor più in “Miracolo [Olocausto]” di Marino Marini (1958-60). Quest’ultimo impianto scultoreo, realizzato in legno e lavorato secondo diagonali e geometrie molto spinte, restituisce una forza evocativa del dramma dell’indicibile davvero struggente. Umberto Mastroianni è presente all’interno del percorso con l’opera “La nuvola [Apparizione alata]” (1957), con codici astratti che richiamano il dinamismo tipico del Futurismo. I bronzi “Grande figura multipla” (1956-57) di Mario Negri e “Colloquio” (1957) di Pietro Consagra sono confrontabili per il periodo storico in cui sono stati creati. Accomunati dall’eleganza con cui sono stati concepiti, sono ritmati in un affascinante gioco di pieni e di vuoti. Trovo particolarmente affascinante l’opera “Colloquio”. “Concetto spaziale” (1952) di Lucio Fontana sovverte il consueto modo di esprimere la statuaria. Il colore giallo acceso ricorda a tutti il valore del cromatismo e la forma a disco, con tagli e salti di quota, rompe gli schemi consueti, rivoluzionando il fare scultura. L’opera è stata pensata per uno spazio aperto e per dialogare con un prato verde, creando un contrasto cromatico. Fausto Melotti interpreta, a suo modo, il fare scultura con una ricerca raffinata attraverso la ceramica policroma, dando vita a due incantevoli Donnine (1953- 54). Negli anni Sessanta appare particolarmente interessante Ettore Colla, che fu tra i pochi invitati a partecipare alla mostra “The Art of Assemblage”, al MOMA di New York, nel 1961. La sua opera “R.I.T.R.A.” (1959) affronta il tema del recupero dei materiali e di assemblaggi con prodotti di varia natura. Eugenio Carmi con “Appunti del nostro tempo” (1962) crea un bassorilievo di lamiere e acciaio, secondo la nuova tendenza dell’utilizzo di materiali del mondo industriale. Il tema dello specchio e dei giochi di riflessi si ritrova con “Struttura in acciaio inox e smalto bleu” (1966) di Carlo Lorenzetti, fino a “Ombra specchiante” (1967) di Pietro Gallina. Troverà molti esempi nei decenni successivi. Nicola Carrino, invece, segue la strada delle parti componibili e dei moduli, di pari passo al mondo dell’architettura. La sua opera “Costruttivo 1/69, Alfa” (1969) è emblematica. L’avvicinamento tra mondo produttivo e artistico è sempre più chiaro. Per esempio, questa corrispondenza si può leggere nell’opera di Piero Fogliati con “Scultura sonante [Fleximofono]” (1967). Nella guida alla mostra si sottolinea la corrispondenza tra l’esposizione “Sculture in metallo”, realizzata alla GAM di Torino nel 1964, in parallelo al Primo Salone Europeo della Metallurgia. In tali circostanze si ritrovarono i medesimi artisti, come Fontana, Lorenzetti, Garelli, Franchina, Cherchi, Colla e Carmi e molti altri. Dadamaino (Edoarda Emilia Maino) con “Oggetto ottico-cinetico” (1964-65), sperimenta a sua volta l’utilizzo del metallo, in linea con il periodo. La sua scultura che si srotola in orizzontale, come per Fontana in “Concetto spaziale” vuole allontanarsi dai principi classici. Gli anni Sessanta e Settanta interrogano l’osservatore in merito al tema arte e natura. E’ particolarmente interessante l’esito, relativo alla questione del tempo, offerto da Eliseo Mattiacci con l’installazione di libri in alluminio fuso, dal titolo”Cultura mummificata” (1972). Il colore ritorna prepotentemente protagonista, come già era stato per Lucio Fontana (Concetto spaziale); si ritrova, infatti ne “La tela filosofica” di Claudio Parmigianni (1977), che utilizza l’oro e le tre figure geometriche, quadrato, cerchio e triangolo, sbozzate nel marmo chiaro, ai piedi del quadro. L’oro è protagonista nella “Madonna dei pennelli” di Vettor Pisani (1978) con il cuore trafitto dai pennelli. In questo caso l’uso dei colori oro e blu è netto e non lascia indifferenti. Si tratta, forse, di una denuncia rispetto al tempo moderno. Luigi Mainolfi con “La campana” (1979) utilizza il rosso vivo. Il tema della grotta, del riparo e della protezione, tipico dell’architettura slitta nell’ambito scultoreo, come simbolo della comunità, per l’aggregazione. La campana si ricollega simbolicamente alla chiesa, alla parrocchia con il suo campanile, luogo di richiamo per eccellenza. Michelangelo Pistoletto con “Raggiera di specchi” (1973-76) riprende il riflesso, lo specchiare il mondo circostante per trovare nuovi sguardi. Il tema del riflesso e della riflessione ritorna anche in “Frammenti di riflessione [exoteric gate]” (1976) di Nanda Vigo, con l’uso massiccio di materiali industriali, in questo caso, vetro ferro e neon, che sarà ripreso ampiamente nei decenni successivi, come nel caso di Mario Merz oppure di Marco Lodola. Il pregio del percorso è soprattutto dato dall’occasione di riflettere sul senso della scultura oggi, che si è trasformata profondamente, svincolandosi dal soggetto e da una iconografia classica per spaziare e liberarsi dai vincoli precostituiti. Questa libertà espressiva è sfociata in esiti etici, ma anche estetici, effimeri, così come duraturi. L’opportunità di sperimentare le forme, i materiali e i colori, svincolandosi da linguaggi tradizionali, ha consentito alla scultura di reinventarsi, per addizione e per sottrazione. Le lezioni del minimalismo in architettura sono state assorbite parallelamente da alcuni maestri della scultura, che le hanno fatte proprie e riscritte. Il viaggio affascinante e straordinario all’interno della scultura continua. Maria Vittoria Giacomini